Già nell’antica Grecia c’erano i circhi, c’era anche il fascino di animali esotici e feroci, oppure quello dei cavalli, che correvano in grandi arene. Il significato etimologico di circo è cerchio, e quindi non è un caso che ancora oggi l’arena o il maneggio siano circolari. Tuttavia i circhi del nostro secolo sono piuttosto modesti in confronto al leggendario Circo Massimo di Roma, che conteneva 60.000 spettatori. Circhi legati ad un luogo fisso sono molto rari, e anche l’Ex Scuola di animali del Circo Statale della Repubblica Democratica tedesca, che da decenni era installata a Berlin-Hoppegarten, attualmente viene liquidata (…)
Dal 1996, il fotografo italiano Pierpaolo Pagano segue un ampio progetto sul mondo del circo, che lo porta attraverso l’europa, nell’estate 1998 anche a Hoppegarten. Lì, nella scuola degli animali del circo ha fotografato da vicino probabilmente i loro ultimi elefanti sotto la doccia. Molte immagini della serie sono osservazioni intime e suggeriscono un idillio tra uomo e animale che sembra volgere al termine. Tuttavia Pagano è affascinato da quel mondo “diverso”, dove si immerge fotografando. Così cresce una straordinaria sequenza, ancora non conclusa, di numerose immagini singole, non è un reportage sistematico, neanche una ricerca sociale o di ambiente. è piuttosto un omaggio al circo, al suo splendore, come ancora oggi si presenta ogni tanto, come nei costumi riccamente decorati dei domatori di elefanti di un circo a Firenze. Nello stesso tempo la serie di queste immagini è un documento importante della sua eventuale scomparsa.
Pagano accompagna alcuni dei circhi in intervalli di alcuni mesi in diversi luoghi, come quello di Moira Orfei da Firenze a Pistoia o Rimini. Però non indaga solo vicino a Firenze, ricercando il mito circense, ma ha viaggiato fino a Mosca per fotografare il circo statale. Ecco dove ha osservato tra l’altro le preparazioni di un’artista prima del numero nel suo camerino. L’immagine rappresenta la concentrazione intensa della giovane donna, mentre si aggiusta i capelli, assorta in pensieri che apparentemente non si accorge nemmeno della presenza del fotografo.
Poche sono le indicazioni date nelle fotografie, per quanto riguarda i posti dei circhi, i titoli consistono solamente dai luoghi e dalle date di ogni scatto. Attraverso la mancanza di caratteristiche topografiche nelle immagini si constata il tema del circo in sé, quasi come istituzione universale – cioè dalla posizione di uno spettatore che sembra partecipare direttamente. Non c’è un pubblico ridente o stupito, le riprese non sono fatte dalla tribuna del pubblico, bensì dal dietro del palcoscenico - spesso con la consapevolezza dei protagonisti. Sono impressioni straordinarie che riaprono nuovamente il mondo del circo allo spettatore trasformandolo in maniera enigmatica. Esse sono dirette e nello stesso tempo distaccate, trasmettono atmosfere che rievocano in ognuno ricordi, associazioni e immaginazioni, qualche volta addirittura dell’infanzia.
Pagano si serve di alcuni dettagli, come del pavimento della tenda ornata di stelle nella luce solare e le macchine duramente messe a fuoco, per focalizzare l’esistenza nomade degli artisti, la loro vita senza fissa residenza. Talvolta loro stessi vengono rappresentati fotograficamente, solo in frammenti. Così in una ripresa dell’agosto 1997 a Cesenatico: l’immagine di un corpo femminile in movimento, o meglio la sua apparizione, probabilmente in alto, appena prima o dopo un salto mortale. Il corpo dell’artista è molto tagliato dall’inquadratura, il suo asse, leggermente spostato dal centro dell’immagine, si dirige oltre i bordi della fotografia. Lo sfondo è ridotto in piani scuri e strutture della rete. In questo scatto coincidono l’aspetto formale e quello del contenuto. Un’altra inquadratura radicale dimostra ornamenti in bianco e nero, i quali solo nel contesto della serie del circo sono riconoscibili come schiene di zebra. Le righe macchiate del pelo degli animali diventano una cifra formale dell’immagine. Scelta che conferma l’uso esclusivo della fotografia in bianco e nero, ormai da considerare “classico”. Intenzionalmente Pagano rinuncia ad apparire con mode come la manipolazione dell’immagine via computer. Per quanto riguarda il contenuto, non tematizza come spesso nella fotografia contemporanea una ricerca di identità o di autoreferenzialità. Invece - e questo è da evidenziare - si serve della fotografia tradizionale, con una alta resa dell’immagine in gelatina d’argento da lui stesso stampata. In questa ricerca elabora un tema chiaramente definito nei suoi limiti, il quale riguarda lui stesso solo indirettamente. È fotografia d’autore nel senso migliore.
Tra le sue osservazioni dell’uomo nel contesto circense, ne esistono alcune simili al linguaggio del fotografo Martin Parr: mani di bambino esitano in direzione verso un cerchio disegnato che si svincola intorno ad un corpo umano e che si rivela durante una osservazione più attenta un serpente. Qui si collega l’ammaestramento di animali con la sensazione del fascino e del pericolo. Contemporaneamente diventa evidente il comportamento naturale tra gli artisti e i loro figli con i loro animali domati. Altre immagini rappresentano l’uomo ridotto a un dettaglio, sfuocato o come una silhouette in ombra, vista da dietro. Pagano esplora inoltre tutte le possibilità del vissuto quotidiano. Il ritratto relativamente realistico di un clown, scattato a natale 1997 a Firenze, svela lo scherzo giocoso come il duro lavoro di tutti i giorni. Un clown piuttosto anziano col trucco sciupato - probabilmente fotografato in uno specchio rotto che spiegherebbe certe deformazioni e sdoppiamenti del suo viso – sta chinato, stanco e pensoso, in uno spazio scuro non definito. Questa immagine è caratteristica per il modo di lavorare del fotografo italiano: è un osservare sensitivo e silenzioso, in un certo senso un racconto malinconico. Pure la isolata casa mobile di circensi a Roma è simbolo per un mondo chiuso in se stesso, che resta sempre più solo. La sensazione positiva e idealista di un concetto di vita alternativo viene seguita, così potrebbe essere interpretata l’immagine, da disillusione.
Tutto sommato si può dire che questa serie di immagini di Pierpaolo Pagano sia una metafora visuale per lo sparire e la perdita di una forma vecchissima di arte e di divertimento che durava secoli. Uomini vengono ripresi come comparse in forma di silhouettes di un teatro che appare irreale, e sono messi in scena fotograficamente. Quasi niente sembra afferrabile, corposo, neppure le rappresentazioni realistiche nelle riprese notturne delle abitazioni e tende. Questo è il sogno del circo, che ci viene presentato da Pagano – e in un certo senso le immagini sono visualizzazioni dei suoi sogni a occhi aperti.